I trabocchi sono strane e complesse macchine da pesca, issate su palafitte e sorrette quasi miracolosamente da una ragnatela di cavi e assi. Non hanno una forma stabile, ma, nelle loro parti essenziali, consistono in piattaforme, composte da tavole e travi non completamente connesse, elevate su primitivi pilastri conficcati sul fondo del mare o su scogli, e congiunte alla vicina riva da esili passerelle.

Dalle piattaforme si staccano le antenne, che sostengono le reti per mezzo di un complicato sistema di carrucole e funi.I trabocchi hanno un’architettura leggera, verrebbe voglia di dire aerea, ma solida, in grado di sopportare il peso della robusta rete da pesca e le sollecitazioni delle tempeste marine. Non sono un elemento architettonico stabile, ma dinamico, in rapporto costante con le forze della natura, con cui le loro eteree strutture interagiscono continuamente, in quanto ad ogni mareggiata perdono pezzi più o meno importanti, e, dopo ogni tempesta, hanno bisogno di aggiustamenti e riparazioni.A ripararli pensano “i traboccanti”, depositari e custodi di un’antica e affascinante arte, apparentemente primitiva e improvvisata, ma in realtà evoluta quanto le più complesse tecniche ingegneristiche. I materiali adoperati sono i più vari e inizialmente erano legati alle disponibilità locali: l’olmo, l’abete e l’acacia erano i legni più usati, insieme alle corde di canapa.

Oggi si adoperano molto anche i fili di ferro e le traversine delle ferrovia: l’importante è che tutti i materiali usati siano rigorosamente di riciclo. Nonostante la varietà dei legnami e dei materiali, comunque, i trabocchi risultano molto armonici ed eleganti nel complesso gioco di fili, corde e pali che si intrecciano tra loro, rendendoli simili a “ragni colossali”, come dice il celebre poeta abruzzese Gabriele D’Annunzio.

Fonte: AbruzzoCittà